Basta con le graduatorie. Facciamolo per Sara e per i suoi studenti

Di seguito un mio articolo uscito anche su Europa, sezione Leopolda

Sara viene da una famiglia monoreddito. Le hanno spiegato che studiando ce l’avrebbe fatta. Sara è brava e si laurea con il massimo dei voti. Vuole fare carriera universitaria e se lo meriterebbe pure, ma tutti le dicono che sarà dura. Mentre si iscrive al concorso per il dottorato fa anche quello per la SSIS, la scuola per diventare insegnanti. È una pragmatica Sara e quella storia dei capaci e meritevoli le puzza un po’. Non ha santi in paradiso e se va male con l’università potrà essere utile ai ragazzi.

Sara vince sia il dottorato che la SSIS e deve scegliere quale percorso “congelare” e così la SSIS va nel freezer e dopo tre anni Sara è Ph. D.. A quel punto la beffa: il Miur chiude le SSIS. Per Sara inizia un calvario che durerà cinque anni e la porterà a pubblicare articoli e fare ricerche per i suoi professori. E contemporaneamente comincia a insegnare. Perché bisogna campare, perché le piace e perché “fa punteggio”. Ed è vero che i suoi professori la stimano, ma Sara ha capito che non basta.

Nel frattempo il Miur si è accorto che con Sara e altri come lei non si è comportato un granché bene. Così ci mette qualche toppa: li fa entrare con riserva nelle graduatorie; quando le graduatorie vengono chiuse ce li fa restare in attesa che possano ultimare la procedura di abilitazione; quando istituisce il nuovo percorso abilitante (il TFA) li ammette direttamente.

Sara quindi frequenta il TFA e si abilita. E così, passati cinque anni, sembra che Sara possa finalmente sciogliere la riserva e stare a pieno titolo in quelle graduatorie che nel frattempo ha imparato ad odiare. Bel paradosso, non c’è che dire. Ma Sara sbaglia ad odiare le graduatorie. Le odia perché lei sa di essere brava, ma le graduatorie questo non lo dicono, ma dimentica che non sono pensate per dirlo, sono pensate per essere “eque”. La graduatoria è come Jessica Rabbit: non è cattiva, è che la disegnano così.

La storia di Sara non è solo la storia del mancato riconoscimento dei suoi meriti. È soprattutto la storia di un sistema che si castra, si priva volontariamente dei migliori. Sara è brava e se la scuola continuasse a respingerla troverebbe altro. Ma i suoi studenti? Perché privarli di una così alta professionalità?

Non mi rassegno al fatto che la mia parte politica ancora si attardi a difendere questo orrore. Fatto di cavilli e norme contraddittorie, di professionalità appese a una sentenza del TAR. Come fanno a non accorgersi che serve solo a chi ci sguazza promuovendo ricorsi o promettendo sanatorie? Dicono che le graduatorie servono a evitare sopraffazioni e favoritismi. In parte è così. Ma sono diventate anche un alibi per l’irresponsabilità diffusa. Sono un verminaio non più gestibile, un caos inaccettabile per un paese civile: stiamo parlando di come lo Stato seleziona gli insegnanti dei nostri figli, non l’impiegato all’Anagrafe. Con tutto il rispetto per gli impiegati all’Anagrafe. Che poi, a ben vedere, se i Comuni devono scegliere un impiegato mica aspettano un Concorso Nazionale che si fa ogni 10-12 anni…

Che fare? La legge dice che dai concorsi va assunto il 50% del personale: farli regolarmente significa risolvere almeno la metà dei nostri problemi. Nel breve periodo va indetto un concorso, per soli abilitati, da ripetere ogni 2-3 anni: Sara e quelli bravi come lei lo passerebbero e senza togliere nulla ai ciucci, che potranno continuare ad aspettare il proprio turno in quelle graduatorie così “eque”. Nel medio periodo si consenta alle reti di scuole di avere voce in capitolo nei concorsi per i propri insegnanti: procedure più snelle e meriti/responsabilità chiari per chi assume.

Nel lungo periodo invece, come diceva Keynes, l’unica cosa certa è che saremo tutti morti. Ma se non ci sbrighiamo a riformare la scuola e i suoi perversi meccanismi, lei morirà molto prima.

5 pensieri riguardo “Basta con le graduatorie. Facciamolo per Sara e per i suoi studenti

  1. Bene, ok, ma ancora con ate reti di scuole? Un altro carrozzone, altra burocrazia, per impedire alle scuole di assumere? A quando le reti dei comuni per assumere gli impiegati ( cosa diversa dal favorire l’aggregazione dei comuni), le reti di ospedali, ecc.. Su Marco, fai l’ultimo salto!

    1. serve un po’ di massa critica se vuoi fare un concorso. le reti esistono a prescindere (vd. prossima riorganizzazione degli USR)

  2. ritengo molto offensivo definire “ciucci” quelli che sono in graduatoria, a prescindere, come è errato definire meritevoli tutti quelli che sono arrivati, anche solo per ragioni anagrafiche, dopo e quindi ne sono esclusi. Direi che è l’ennesima semplificazione di chi della scuola e dei suoi – perversi – meccanismi non ne capisce molto e si può permettere di giudicare da fuori. Dimenticandosi, peraltro, che le graduatorie ci sono in molte professioni, e che, a volerla dire tutta, fino in fondo, in molti Stati esteri, si assume a chiamata diretta dei dirigenti, che diventano diretti responsabili e garanti della qualità degli assunti, un modo come un altro per meritarsi la qualifica di dirigente. In Italia si guarda con sospetto questo sistema perchè si sa che il clientelismo, la corruzione, il tengo famiglia sono elementi fortemente disturbatori. Eh già, i concorsi, invece, sono emanazione diretta della verità sul merito, tantìè vero che nessuno mai ne contesta gli esiti, le commissioni, i criteri, nessuno mai fa ricorso…. Ma fatemi il piacere, come direbbe Totò! Ah, e detta così, en passant: il percorso SSIS fu introdotto e voluto per evitare le pratiche discutibili ed aleatorie dei concorsi e, di fatto, fu definito pratica concorsuale, con due anni di formazione, esame di ammissione iniziale, esami in itinere, tirocinio ed esame finale. Una bazzecola, insomma!! Doveva essere a numero chiuso, in modo da contingentare gli aspiranti docenti in base all’effettivo fabbisogno: alla fine erano un ottimo modo per finanziare l’università (3800 euro, se non ricordo male, per ciascun candidato nei due anni) ed il fabbisogno calcolato su base – forse – regionale è diventato ben presto un parametro inutile, essendo peraltro costituzionalmente garantita la mobilità sul territorio nazionale di ogni abilitato. Ecco, diciamola un po’ tutta, la vicenda, con buona pace di Sara e di tutti quelli che nella scuola lavorano seriamente, si impegnano ben oltre l’orario di lavoro, ricevendo pesci in faccia e “lezioncine” da parte di chiunque….

    1. non comprendo le ragioni del tono ma rispondo ugualmente.
      Primo: non ho definito ciucci tutti quelli in graduatoria, ma ho detto che i “non ciucci” passerebbero il concorso. s enon la prima, la seconda volta (e se se ne fa uno ogni due anni non è un dramma)
      Secondo: mi sono chiarissimi tutti i fatti ai quali fa riferimento, ma non intaccano minimamente il mio ragionamento (a mio avviso, ovviamente). Che è un ragionamento non sul passato ma sul futuro. E propone: concorso a livello di scuola (o reti di, per avere massa critica come dicevo nella risposta precedente) ogni 2/3 anni. Il concorso è preferibile alla chiamata diretta perché meno critico dal punto di vista anche da lei evidenziato e soprattutto attuabile senza alcuna modifica normativa sulle modalità di assunzione del pubblico impiego.
      Terzo: le graduatorie esistono in molti altri settori del pubblico impiego, ma da nessuna parte chi è idoneo (cosa diversa dal passare un concorso) lo rimane anche dopo lo svolgimento della prova concorsuale successiva

  3. Bel post, condivido quasi tutto.
    Parentesi ma perché i genitori non possono accedere ai cv degli insegnanti? perché non possono stare online?
    Quello che non condivido:
    1) concorso come valutazione oggettiva: ma come venivano valutate le higher cognitive skills (capacità di collegamento, comprensione, didattica) nei test di accesso al TFA e nel concorso? Mi sembravano test piuttosto sbilanciati sulle capacità più basse, che apprendi studiando il libricino “come passare il test”.
    2) il dottorato, la “carriera” universitaria non sono di per sè garanzie di preparazione né di contenuto né di capacità didattiche e di empatia. Fare ricerca e insegnare sono cose diverse e rispondono a esigenze diverse. Da ricercatrice, costretta dall’Università nordica a frequentare ben 60 crediti di corsi di pedagogia pensati solo per insegnanti universitari, prima di sostenere l’equivalenza dottorato e capacità di insegnare ci penserei 10 volte! (soprattutto se il dottorato è italiano e l’esame per lo più gestito a monte….) Per restituire dignità e rispetto alla professione, non credo sia utile facilitare la possibilità di usare l’insegnamento come “ripiego”, perché in Italia non si riesce a fare una riforma che faccia dell’insegnamento l’obiettivo- come per molti è- di una vita, per il quale ci si prepara sudando “lacrime e sangue”, né più né meno come studiare a una facoltà di ingegneria o medicina o fisica o fare la “carriera accademica” (quando non si hanno Santi)? E possibilmente un lavoro full time con full salary? Possibile che i ciuchini e non che sono nelle graduatorie o le Sare di turno non se ne rendano conto?

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