E con Irene eravamo in tre

Caro Walter, ti scrivo perché ho deciso di dimettermi dalla Direzione nazionale del Partito democratico. Una scelta non facile che nasce dall’esperienza di quest’ultimo anno e dai dubbi crescenti sulla capacità del Pd di proporsi come forza riformista e innovativa, come aveva annunciato di voler fare un anno fa.

Il Pd aveva un’obiettivo ambizioso al quale avevo aderito con entusiasmo e che ora faccio fatica a riconoscere in questo partito, in numerosi ambiti. Dalle posizioni ambigue su importanti temi etici e valoriali, alla gestione di processi politici locali e nazionali, ma soprattutto alle posizioni in quegli ambiti più cruciali per la crescita del Paese: istruzione, ricerca e innovazione. Era su questi temi che coltivavo le aspettative maggiori verso il Pd. Ero stata molto delusa dalle politiche del Governo Prodi, ma speravo che con il Pd si aprisse una stagione nuova, fatta di elaborazione di idee e proposte significative.

Di fronte alle posizioni del Pd su questi fronti non posso che essere sconcertata. Non ho visto nessuna proposta incisiva, se non “andare contro” la Gelmini. Peraltro tra tutti gli argomenti che si potevano scegliere per incalzare il ministro sono stati scelti i più scontati e deboli. Il mantenimento dei maestri, le proteste contro i tagli, la retorica del precariato, tutte cose che perpetuano l’immagine della scuola come strumento occupazionale. È questa la linea nuova e riformista del Pd? Cavalcare l’Onda non basta. Serve una proposta davvero nuova, che ribalti le attuali logiche di funzionamento della scuola anziché difenderle. Ma non ho visto niente di tutto questo.

La mia delusione è tanto più forte quando penso alla propaganda fatta un anno fa riguardo all’apertura a idee nuove, quando penso alle molte persone provenienti da ambiti professionali qualificati che si erano avvicinate al progetto del Pd e che avrebbero potuto portare un contributo in termini di idee e innovazione. Che fine hanno fatto queste persone? Quali nuove modalità di coinvolgimento e ricambio ha creato il Partito? Io stessa, che ero stata contattata (così mi era stato detto) per le mie competenze “tecniche”, in un anno di vita del Pd non sono stata consultata mai nemmeno per un parere. Questa emarginazione non ha certo offeso né me né, credo, le altre persone già molto impegnate fuori dalla politica. Mi chiedo però come mai, un anno fa, ci era stata chiesta una collaborazione con tanto apparente entusiasmo quando evidentemente di questa collaborazione non c’era bisogno. Mi chiedo se era necessario fare tanto rumore sul ricambio generazionale quando basta guardare chi sta ancora in cabina di regia per capire che, in fondo, non è cambiato niente.

Inneggiare al cambiamento, all’idea di una società e di una politica nuove serve a poco se manca il coraggio di intraprendere fino in fondo le azioni necessarie a realizzare queste idee. Sartre diceva che noi siamo quello che facciamo. Sono le nostre azioni che ci definiscono, stare a discutere su ciò che ci piacerebbe essere serve a poco: la gente ci giudicherà per quello che abbiamo fatto. E di quello porteremo la responsabilità. Per quanto mi riguarda non voglio portare la responsabilità delle scelte che sta facendo questo partito che in larga parte non condivido e sulle quali non ho avuto e non ho possibilità di incidere in alcun modo. Per questo ho deciso di dimettermi.

Irene Tinagli in una lettera aperta sul Riformista di oggi

Quindi non eravamo solo Facci ed io ad averci creduto, ma anche Irene Tinagli.

Ieri ho scritto che “il problema della politica italiana è la mancanza di giovani in giro che abbiano voglia di conquistarsi la leadership dei rispettivi partiti senza aspettare il proprio turno educatamente in coda”. Irene è una giovane donna (non a caso una donna) che ha capito che questo avrebbe dovuto fare per poter contare, forse, qualcosa: aspettare educatamente in coda, come dal salumiere. Evidentemente ha deciso che aspettare che venga chiamato il proprio numeretto non è esattamente la massima aspirazione che una persona normale possa avere nella vita.

L’altra ipotesi, quella della battaglia politica, ha deciso di scartarla a priori. Ed è su questo che chi ha a cuore il Pd dovrebbe veramente riflettere.

2 pensieri riguardo “E con Irene eravamo in tre

  1. e se ci fosse anche un altro modo di vivere i partiti, d’immaginare il proprio impegno? come quello di irene, appunto, chiamata dal leader a dare un contributo d’idee in considerazione delle capacità e delle competenze acquisite e che toglie educatamente il disturbo perchè spenti i riflettori delle primarie nessuno si è ricordata di lei. Ci sono tanti che vogliono far politica senza l’ambizione alla leadership locale o nazionale, che continuano ingenuamente a credere di trovare nei partiti uno spazio dove idee pensieri hanno la possibilità di esprimersi e confrontarsi, e alle quali non frega nulla di mettersi in fila per il biglietto perchè il loro spettacolo è quello di fare altro, magari la ricercartrice negli usa. A tutti questi marco cosa diciamo? La tua sollecitazione a dare battaglia è sacrosanta per quei 40nni che hanno scelto da tempo la politica come professione ma che non intendono fare i conti con le regole che governano la selezione dei leader nei partiti (pensoo a cuperlo zinagaretti ecc.). Ma alla Tenaglia queste cose non le puoi dire.

  2. Io a irene tinagli infatti non le dico.

    Affermo piuttosto che deve far riflettere che persone come lei non pensino che il pd sia “scalabile” e dunque non ci provano neppure. E’ la non contendibilita’ della leadership il vero “problema”, altro che ricambio generazionale

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