Report: my two cents

Report l’altro giorno ha cannato una puntata. Succede. L’argomento era la rete. Internet. Sono bravi, ma a volte sbagliano pure loro.

dal blog di Luca Ciccarelli

Ho preso a pretesto le parole di Luca perché lui ha il dono della sintesi, ma non mi rivolgo a lui. Vorrei provare a fare un ragionamento che magari Luca condivide (non lo so, non ne abbiamo mai parlato) con chi guarda Report ed è subito pronto a riproporre acriticamente i contenuti delle sue inchieste.

Il ragionamento in realtà non riguarda solo Report, ma il giornalismo nel suo complesso. Ed è un argomento non nuovo che potremmo catalogare con il termine superficialità. La superficialità è la cifra del nostro tempo e – se ha ragione Baricco a tesserne le lodi tratteggiando i nuovi barbari – non può riguardare i giornalisti, che dovrebbero fare dell’approfondimento e lo studio la base del loro mestiere. In particolare chi fa giornalismo d’inchiesta.

Se dicessi queste cose senza parlare di Report me le passereste senza battere ciglio: tutto un fiorire di “like” su Facebook e commenti sostanzialmente concordi. Ma a me non piace vincere facile e i miei venticinque lettori lo sanno bene. E così non mi nascondo dietro la categoria dei giornalisti e mi chiedo e vi chiedo. Com’è che ogni volta che si tocca un argomento sul quale siamo appena appena informati, o – più ancora – che attiene alla nostra professione ci accorgiamo così facilmente della superficialità di certo giornalismo? E com’è che nonostante li si prenda in castagna non siamo disposti a mettere in dubbio anche le certezze precedentemente acquisite da quella stessa fonte che si sta dimostrando così superficiale?

Nella migliore delle ipotesi si è disposti a dire “a volte sbagliano anche loro”, ma non si è disposti a credere che forse non è la prima volta. Solo perché le altre volte non ve ne siete accorti, non vuol dire non fosse così. Vi svelo anzi un segreto: non è la prima volta ed è normale che sia così. La mia professione mi porta ad avere qualche competenza sulla scuola. Se vi va, andatevi a rivedere i servizi che Report (o anche Presa Diretta) hanno dedicato alla scuola. Vi assicuro che erano pieni di “imprecisioni” (alcuni erano proprio errori marchiani, ma lasciamo perdere) almeno – almeno! – quanto mi avete spiegato ne fosse pieno il servizio su Internet.

Con questo non voglio dire che Report non sia un bel programma, lo è. Eviterei però di utilizzarlo come strumento di battaglia politica. Esprime un punto di vista e ciò che ci viene presentato come un dato di realtà non sempre lo è. La regola è una sola: fate sempre la tara.

Se proprio siete di spirito candido come il sottoscritto, ipotizzate pure la buona fede. Ma fate la tara.

7 pensieri riguardo “Report: my two cents

  1. Io farei un discorso diverso. Il giornalismo, anche d’inchiesta, deve essere (purtroppo o per fortuna), oltre che “preciso”, anche divulgativo, per cui, quanto si tratta qualunque argomento, specie se particolarmente tecnico, si deve inevitabilmente approssimare, semplificare, per renderlo comprensibile e digeribile ad un pubblico più vasto possibile, anche non specialista (stiamo parlando pur sempre di tv generaliste). Si tratta, alla fine, si saper conciliare al meglio le due esigenze. Chi lo sa fare, a mio avviso, fa comunque buon giornalismo.

  2. Ragiono in generale e senza aver visto la puntata incriminata.
    In questi tempi di scontri e assalti frontali è moooolto più facile (ahimè) andar giù con l’accetta dell’approssimazione e della semplificazione (non della sintesi, che è cosa ben diversa, ovviamente) che con argomentazioni serie e documentate. Questo sia da parte di giornalisti, di cui Gabanelli e Santoro sono i paradigmi, sia da parte di rappresentanti politici. Dopodicchè, proprio perchè non è per nulla facile articolare, documentare e spiegare la complessità delle cose contro (sì, contro) la demagogia di certo giornalismo e di certa politica, dobbiamo anche averne le capacità e sapere che i risultati spesso non sono immediatamente visibili.

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